
Un donna che guida un auto nelle strade di Mosca nel 1937: già di per se la figura è simbolo di emancipazione femminile e delicatezza per quel fiore posto sul deflettore dell’auto ma, soprattutto, sono il traffico, le persone, i palazzi a dare l’impressione di un’ambientazione, permeata da modernità e dinamismo, non dissimile a quella di una metropoli occidentale dell’epoca.
La nuova Mosca è il titolo del quadro di Jurij I. Pimenov dipinto, per l’appunto, in quel periodo in cui lo stalinismo dava il peggio di se con epurazioni arbitrarie a seguito dell’omicidio di Sergej Kirov, dirigente del Partito comunista a Leningrado.
Il quadro fa parte di quel movimento pittorico russo definito come realismo socialista.
Il fatto è che questo realismo è costruito su quello che il regime voleva che fosse rappresentato al posto della realtà: una visione favolistica di essa, uno specchio distorto.
Alla dissoluzione dell’Urss, nel 1992, la storia di quello che era stato prima del crollo dell’impero era il fardello da nascondere, quasi a liberarsi di un fardello considerato solo come peso e non come, appunto, parte di una storia riguardante la nazione ed il suo popolo.
Anche i pittori, e le loro opere, riguardanti il realismo socialista, finirono quasi nel dimenticatoio, nonostante che, dal punto di vista pittorico, si parlava di rappresentazioni non prive di un certo valore.
Negli anni successivi, quelli più vicini ai nostri tempi, vi è stato un recupero di questa memoria collettiva (tralasciando, non a caso, l’impegno di Putin per ripristinare lo status di potenza mondiale della Russia), ed è a questo punto che anche la corrente artistica del realismo socialista ritrova i suoi spazi, questa volta non come grancassa di un regime, ma semplicemente come arte.